
La mamma: «Henry?
Trezeguet? Lui è unico.
A un anno era un campione,
ma non voleva lasciare
la periferia di Parigi
per andare a giocare»
Di PIETRO TRIA
Jeremy Ménez è uno dei più interessanti talenti del
calcio francese. E fino a qui, nessun dubbio. Ma quale
è stata l’infanzia dell’ultimo acquisto giallorosso?
Com’è cresciuto calcisticamente prima di approdare al
professionismo? Una serie di domande, sul ragazzo nato
il 7 maggio del 1987 a Longjumeau, pronte a ricevere
una risposta. A iniziare è sua madre Pascale. «Da piccolo
- racconta - ha cominciato a dare i primi calci. Aveva
un anno o poco più. Il pallone gli piaceva perché vedeva
giocare suo padre e suo fratello maggiore». Ma il
piccolo Jeremy, con il passare degli anni, quella palla ha
cominciato a "toccarla" con sempre più maestria cercando
di sfruttare questa sua dote. Così, arrivato a dieci
anni a Vitry, dopo qualche stagione ha fatto uno stage
al centro di formazione di football di Parigi (C.F.F.P.).
Gael, uno dei suoi vecchi tecnici, lo ricorda: «Era forte,
molto tecnico, giocava come numero dieci, come regista
». Ma non c’era solo il pallone, Ménez doveva andare
anche a scuola. Sua mamma non ha dimenticato la sua
esperienza al college di Cherioux: «Era molto timido,
un bravo scolaro. Al liceo, però, ha avuto qualche problemino
». La sua vocazione era il calcio, come hanno
poi dimostrato i fatti. Ma Jeremy per quale squadra tifava
prima di diventare un professionista? «Tutta la nostra
famiglia è originaria della Bretagna, ma la sua squadra
del cuore era il Paris Saint Germain». Una maglia,
quella dei parigini, che il numero 24 giallorosso ha potuto
vestire solo nelle partitelle con gli amici: «Sono
cresciuto giocando a pallone in cortile - afferma Jeremy
- poi sono andato al centro di formazione di Sochaux,
nell’est della Francia, dove per me è stata molto dura».
Delle difficoltà raccontate anche dalla signora Pascal:
«Il primo anno è stata dura, il fine settimana tornava a
casa, a Vitry, e la domenica non voleva più tornare a Sochaux
». Sacrifici che sono valsi, anche per diventare un
modello: «Era un sogno per me essere un professionista
- sottolinea Ménez - e diventare un modello per i ragazzi
delle periferie». Laurent Banide, che lo ha allenato
nella stagione 2006/07 al Monaco dopo l’esonero di
Boloni, ha le idee chiare sul ragazzo: «È un talento, come
Trezeguet e Henry, ma ha fatto molti sforzi per diventarlo
». Non fate questi nomi, però, alla signora Pascale,
potrebbe arrabbiarsi: «Trezeguet? Henry? Io non
lo comparo a nessuno, perché lui è solamente mio figlio
». Un figlio che ormai è diventato famoso e che è
pronto a dire la sua anche nel campionato ritenuto più
difficile al mondo, quello italiano. «In passato cercavo
la giocata - afferma Ménez - ora quello che mi preme è
l’efficacia». Una mentalità giusta per affrontare nel modo
migliore la Serie A. Il banco di prova per tutti i più
grandi campioni francesi, da Platini a Zidane. Ora tocca
a Jeremy farsi largo. Bonne chance.
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